среда, 14 марта 2012 г.

Кеннеди и Хрущев

материал из архива газеты La Stampa (Италия) рассказывает о встрече лидеров двух супер держав Хрущева и Кеннеди произошедшей в 1961 году.
Копия страницы газеты La Stampa.
Краткий перевод части статьи с итальянского на русский.
В эти два роковых дня, сотни и сотни журналистов, собравшиеся со всех континентов в столице Австрии превратили ее на 48 часов в столицу мира.

На страницах Нью-Йорк Таймс появился  следующий комментарий Джеймса Рестона:
«Кеннеди не только умный человек с большими аналитическими способностями, выпускник Гарвардского университета, но и упрямый ирландский скандалист. Это напоминает молодого боксера, который внезапно получил прямой в подбородок. Инициатива теперь в руках Хрущева и "застала его врасплох  - в Лаосе, во время высадки на Кубе". 
«Прямой в подбородок" получил из-за того что некоторые историки считают, что он на сегодня "самый невезучий американский президент нашего века", имеется в виду его поражение при высадке анти-кастровских сил на  Плая-Хирон, так же  и скандал с U-2, американским самолетом -разведчиком сбитым вовремя выполнения шпионской миссии над Советским Союзом в мае 1961 года.
Другой удар по  Америке был нанесен 13 апреля 1961 года, когда первым человеком в космосе оказался Гагарин.
Далее в оригинале говорится о Берлине и разделении его в результате холодной войны.

Мы были в одном шаге, начиная с возведения берлинской стены и последующего ракетного противостояния в Карибском бассейне, это было два самых драматических момента во второй половине ХХ века. 


Оригинал статьи на итальянском:
Un evento forte del secolo, un evento che oggi potremmo definire centrale, fu I l'incontro pressoché 1 uhmJXL I neo di Kruscev e Kennedy a Vienna dal 3 al 4 giugno 1961. In quei due giorni fatali, destinati a produrre mutamenti profondi e sconvolgenti sugli scenari della guerra fredda, centinaia e centinaia di giornalisti si riversarono da ogni continente sulla capitale austriaca promossa, per quarantott'ore, a capitale del mondo. La vecchia e sonnolenta ex metropoli danubiana, non appena l'incontro sul suo terreno neutrale venne ufficialmente confermato dalle due parti, di colpo si risvegliò: si cinse in una sorta di stato d'assedio festoso, elettrizzato, capillare, con bandiere sventolanti per ogni strada e stormi d'agenti visibili e invisibili sparpagliati in ogni angolo. Davvero eccezionale fu la mobilitazione della grande stampa e delle grandi reti televisive. I maggiori quotidiani americani ed europei affiancarono con pezzi da novanta i corrispondenti residenziali in Austria. Dall'America giunse James Reston per il New York Times. fi direttore dello Spiegai, Rudolf Augstein, arrivò con una corte d'aiutanti da Amburgo. André Foniamo e Michel Tatù arrivarono l'uno da Parigi e l'altro da Mosca per Le Monde. Il Corriere della Sera inviò Domenico Bartoli e Luigi Barzini Junior i quali, rivaleggiando tra loro e straripando, dovevano creare non pochi imbarazzi al corrispondente Dino Frescobaldi. Il Giorno, che non aveva nessun residente a Vienna, accollò l'intero servizio a un Giorgio Bocca dinamico e allegro, già avviato al successo degli anni venturi. La Stampa mandò soltanto Vittorio Gorresio, grande signore, nonché giornalista colto ed esperto, il quale coordinò e spartì il lavoro in perfetta armonia con me, facendo tutto il possibile per non invadere i miei spazi: egli sapeva, o intuiva, che una buona copertura del vertice viennese poteva diventare una prova del nove per il mio futuro professionale. Vorrei ricordare infine la coppia dei colleglli dell'Unità: un Alberto Jacoviello brusco e diretto abbinato ad un Paolo Sprìano più sinuoso e più ironico, non ancora assurto alla cattedra di storico ufficioso del Pei. Ecco cosa scrìvevano intanto gli inviati speciali dei giornali cne rappresentavano le due superpotenze a confronto. I sovietici Litoàki e Podkljuenikov commentavano sulla Pravda: «Non possiamo certo nasconderci le difficoltà e la complessità delle conversazioni che stanno per iniziare a Vienna. Gli interlocutori sono persone diverse per mentalità, convinzioni, educazione e tradizioni. Da una parte c'è il figlio di un operaio, lui stesso un operaio, un rivoluzionario temprato nelle lotte, un comunista convinto, il capo di una grande potenza socialista. Dall'altra c'è il figlio di un miliardario, lui stesso un miliardario, un cattolico devoto, un individuo che esprime gli interessi della propria classe, che difende la politica del più grande Paese del mondo capitalistico». I due zelatori marxisteggianti, tracciando quella semplicistica contrapposizione sociologica tra il miliardario Kennedy e l'ex operaio Kruscev, omettevano di specifica- iiuolre che Ù primo era un fortunato pronipote di emigranti irlandesi, non certo miliardari, mentre il successore altrettanto fortunato di Stalin era nipote di un povero servo della gleba ucraina e mezzo ucraino. Assai più franco e più spregiudicato il commento di Reston sul New York Times: «Kennedy non è soltanto una persona intelligente dotata di notevoli capacità analitiche, un laureato dell'università di Harvard, ma anche un irlandese ostinato e attaccabrighe. Fa venire in mente un giovane pugile che improvvisamente abbia ricevuto un diretto al mento. L'iniziativa è ora nelle mani di Kruscev. E' stato lui a prenderci alla sprovvista nel Laos ed è stato sempre lui a metterci in una posizione ridicola a Cuba». Il «diretto al mento» subito da colui che alcuni storici giudicano oggi come «il più sopravvalutato presidente americano del nostro secolo», si riferiva alla sconfitta appena patita dall'amministrazione lcennediana con il disastroso sbarco anticastrista alla Baia dei porci. Era ancora nell'aria lo scandalo dell'U-2, il ricognitore statunitense in missione spionistica abbattuto il 1' maggio 1960 sul territorio sovietico, scandalo quasi interamente addebitato al vecchio presidente Eisenhower e quindi attutito dal presidente Kennedy con la rinuncia formale ai voli di perlustrazione sopra l'Urea. Un altro smacco bruciante per l'America portava la data più recente del 13 aprile 1961: ii primo uomo lanciato nello spazio orbitale intorno alla Terra si chiamava Gagarin ed era sovieti co. Frattanto 1 incubo mai sopito di Berlino, dove in un quadro di crisi permanente si fronteggiavano eserciti in armi, dove un qualsiasi incidente incontrollato poteva sfociare nell'olocausto atomico, restava radicato come una miccia infiammabile nel cuore europeo della guerra fredda. Eravamo a un passo dalla costruzione del Muro e dal successivo braccio di ferro missilistico nei Caraibi : a un passo cioè dai due nodi peggiori della seconda metà del Novecento. L'equilibrio del terrore era sul punto di raggiugere il suo livello di guardia più delicato. Si avvertiva benissimo che un improvviso errore di calcolo, russo o americano, avrebbe potuto da un momento all'altro trasformare l'intero pianeta in un deserto di rovine radioattive. Su tale sfondo apocalittico si stagliò l'incontro fra i due massimi responsabili della vita o della morte dell'umanità. Quella loro presa di contatto in Austria, a metà strada fra Occidente e Oriente, avrebbe dovuto sminare il terreno su cui stavano avventurandosi le contrapposte superpotenze nucleari. Ma il non risultato del semivertice viennese, interlocutorio, enigmatico, alla conclusione del quale non venne pubblicato alcun comunicato congiunto, seminò invece di altre mine letali la lunga estate del 1961 e quasi tutto il 1962, culminato in ottobre sull'orlo dell'abisso cubano. Kruscev tastò il polso, misurò la pressione di Kennedy e sbagliò; Kennedy fece la stessa cosa con Kruscev e non capì. Le reciproche diagnosi caratteriali risultarono affrettate ed errate. Il presidente americano, tallonato dagli insuccessi, incalzato dal Congresso, criticato dalla stampa, aveva fretta di ristabilire il prestigio degli Stati Uniti in grave calo nel mondo. Il capo sovietico, pur comprendendo che non v'erano alternative tra la guerra calda e l'accordo coesisten¬ ziale con l'America, sentiva sulla nuca il fiato dei cinesi, che lo accusavano di tradimento, e aveva quindi fretta di dimostrare il contrario: di sferrare, in una prima fase, uno o due colpi temerari contro il nuovo imperialismo incarnato dal «miliardario Kennedy», prima di celebrare in una seconda fase accordi di distensione e di riduzione degli arsenali atomici con il «liberal Kennedy». Andai a vedere da wicino i protagonisti di tante frette e tanti malintesi. Kruscev e la sua delegazione giunsero all'antica, col vagone letto, alla Ostbahnhof di Vienna. Non l'accompagnava più il solito Nicolaj Bulganin, una volta sempre presente nei loro viaggi in tandem per il mondo, poi uscito di scena nel '58 con la defenestrazione dalla carica di presidente del consiglio; da quell'anno Kruscev, ormai lanciato nella gestione del culto rustico e grezzo della propria personalità, aveva cumulato la carica di capo del governo a quella di dittatore del partito. Spiccava fra i suoi accompagnatori il volto nuovo di Ekaterina Fu ri se va, unica donna nella storia sovietica cooptata quale membro effettivo del politburo: un volto di quarantenne fra il didattico e l'imperativo, tipicamente bolscevico, un misto di peritosa maestra elementare e di dezhurnaja di piano d'un faraonico albergo moscovita. Tuttavia non brutta nella sua fredda severità burocratica. Anzi, quasi una Greta Garbo mssa a confronto con Nina Petrovna, la moglie ufficiale di Kruscev, che caracollava a fatica alle spalle del marito sulle sue tozze gambe corte da matriosca e il suo faccione lunare da contadina slava. Soltanto la mussante parlantina del capo riusciva a malapena ad offuscare il piglio padronale della Furtseva, alla quale Kruscev, di cui si sospettava fosse o fosse stata l'amante, avrebbe affidato in quei due giorni spesso e volentieri il ruolo di portavoce della delegazione sovietica nei contatti col pubblico e con la stampa. L'ambiziosissima donna, che come un'ombra indelebile aveva seguito le orme di Nikita Sergejevic nelle lotte e nell'ascesa al potere, sapeva essere morbida con i giornalisti stranieri quanto era stata implacabile con gli «antipartito» Molotov e Kaganovic nel momento risolutivo della loro cacciata dai vertici del Cremlino. Quanto all'aspetto e al volto di Kruscev, che vidi sporgersi fra quelli della moglie e della presunta concubina da un finestrino del treno, mi fecero pensare a un clown cui sembrava mancare soltanto il pomo di plastica scarlat- ta sul naso per essere assunto dal famoso circo equestre di Mosca. Un clown con due piccoli occhi porcini, collerici, ingannatori che però, a tratti, perdevano il loro lucore aggressivo per spalancarsi come smarriti su un vuoto improvviso. Grande vitalità, grandissima voglia di cambiare il mondo, pulsioni di violenza tenuta faticosamente a freno, schizofrenia psicoideologica cronicizzata fin dai tempi delle complicità criminali con Stalin, sembravano disputarsi l'animo dell'uomo che s'accingeva a sondare il cervello e i nervi del giovane Kennedy. Doveva covare al tempo stesso, nel contadino di Kalinovka, quel pungente complesso d'inferiorità già provato al vertice di Ginevra nell'estate del 1955, quando aveva incontrato da pari a pari i maggiori statisti occidentali formati a West Point, a Eton, a Oxford, alla Sorbona. Nell'estate viennese del 1961 egli aveva ancora indosso gli stessi vestiti di allora: una giacca sformata di colore incerto fra il beige e il verdino chiaro, un paio di pantaloni larghissimi e sventolanti. Il che non faceva che accentuare quell'impressione, insieme antiquata e clownesca, che a noi osservatori comunicava lo strano mugico emerso dalle viscere dello stalinismo e insediato come uno zar riparatore, uno zarpugacioviano, sul ponte di comando di tutte le Russie. Difatti, chi più chi meno, eravamo comunque consapevoli che quell'uomo dalla doppia personalità, dalla personalità sfaccettata, che un giorno annunciava di voler seppellire il capitalismo e il giorno dopo disseppelliva gli scheletri e le vergogne del passato bolscevico, era simde ad un missile a più stadi esplosivi. Nel momento stesso in cui levava il pugno contro l'Occidente, svuotava i gulag, riabilitava i deportati politici, denunciava i misfatti di Stalin alla cui ombra era cresciuto, proteggeva la rivista Novy Mir sulla Ìualc Solzhenicyn i li a poco avrebbe pubblicato la prima clamorosa rivelazione dell'universo concentrazionario sovietico. All'avventurista in politica estera, allo statista internazionale a rischio, che amava il bluff e l'azzardo, si univa lo zar pacificatore e riformatore della politica interna all'Urea. La contraddizione, anzi l'autocontraddizione, era il suo pane quotidiano. L'immagine che invece Kennedy desiderava trasmettere agli americani e al mondo era quella di un leader lineare, fermo, moderno e sicuro di sé. Egli atterrò col suo staff e la bella moglie Jacqueline all'aeroporto di Vienna scendendo dinoccolato e veloce, come una star hollywoodiana, lungo la scaletta del velivolo Air Force One della Presidenza degli Stati Uniti. Era l'esatto contrario di Kruscev nella prestanza del fisico, nell'eleganza dell'abito, nella misura del gesto, nel lampo del sorriso definito malignamente da Edward Crankshaw «the tooth-paste advertisement solile» (sorriso pubblicitario da pasta dentifricia). Di circa vent'anni più giovane, di studi completi e sofisticati, John Fitzgerald Kennedy, primo presidente americano incubato e costruito quasi artificialmente in laboratorio mediatico, commise un grave errore iniziale di tatto e d'approccio psicologico nei confronti del vecchio militante bolscevico d'origine campagnola. A Kruscev piaceva perdere e prendere tempo in conversazioni lunghe e colorite, simili ad antiche al l'ai ni la/ioni di villaggio, condite di proverbi e apologhi, strizzate d'occhio, allusioni sapide e trasversali. Insomma gli piaceva il colloquiare ondivago dei villici russi o ucraini. Kennedy, invece, con tipica retorica manageriale americana, volle dare ai colloqui un ritmo rapido, secco, tutto «businesslike», trattando il diffidente e permaloso erede di Stalin alla stregua di un qualsiasi dirigente d'azienda. Un simile stile da laboratorio harvardiano, o peggio da Wall Street, irritò profondamente Kruscev, che in quel momento forse decise di mettere presto alla prova l'arrogante giovanotto impartendogli, dopo la Baia dei porci, una lezione ancora più dura in Europa. Dello stile negoziale di Kennedy vide soltanto l'artificiosità; ma non vide, accanto a quell'artificiosa retorica da college del New England, la scorza sommersa e dura del discendente di coriacei immigrati irlandesi. Altresì Kennedy non riuscì a intravedere, nel rustico comunista delle steppe, un giocatore spericolato capace di spaccare con un muro carcerario il cuore della Germania e di puntare, in seguito, una selva di missili a ogiva nucleare sulla Florida. Irritazione e calcolo, più il desiderio di mettere in uno stesso istante con le spalle al muro gli imperialisti e i comunisti cinesi che lo accusavano di collusione con l'imperialismo, spinsero Kruscev a sottoporre la resistenza nervosa di Kennedy a due test micidiali. Il 13 agosto 1961, subito dopo il fallimento di Vienna, Ulbricht, su ordine russo, imprigionò Berlino Est nella barriera muraria destinata a crollare appena nel 1989. Come se non bastasse, il 22 ottobre 1962 Castro cominciò ad accogliere e fissare i missili antiamericani di Kruscev sulle rampe di lancio installate a Cuba. Fu proprio in quel periodo pieno di crisi a catena e di incognite, con la guerra fredda al suo culmine nel mondo e la destalinizzazione galoppante in procinto di polverizzare la mummia di Stalin e il vincolo ideologico fra la Cina e la Russia, che il direttore de La Stampa decise di spostarmi da Vienna a Mosca. La prova del nove prevista da Gorresio, la copertura giornalistica da parte mia del breve incontro fra Kruscev e Kennedy, era andata a segno. Iniziava ora per me un'altra storia istruttiva e una drastica quanto eccitante svolta di vita. " loro presa di contatto in Austria, a metà strada fra Occidente e Oriente, avrebbe dovuto sminare il terreno su cui stavano avventurandosi le contrapposte superpotenze nucleari. Ma il non risultato del semivertice viennese, interlocutorio, enigmatico, alla conclusione del quale non venne pubblicato alcun comunicato congiunto, seminò invece di altre mine letali la lunga estate del 1961 e quasi tutto il 1962, culminato in ottobre sull'orlo dell'abisso cubano. Kruscev tastò il polso, misurò la pressione di Kennedy e sbagliò; Kennedy fece la stessa cosa con Kruscev e non capì. Le reciproche diagnosi caratteriali risultarono affrettate ed errate. Il presidente americano, tallonato dagli insuccessi, incalzato dal Congresso, criticato dalla stampa, aveva fretta di ristabilire il prestigio degli Stati Uniti in grave calo nel mondo. Il capo sovietico, pur comprendendo che non v'erano alternative tra la guerra calda e l'accordo coesisten¬ gmalintesi. Kruscev e la sua delegazione giunsero all'antica, col vagone letto, alla Ostbahnhof di Vienna. Non l'accompagnava più il solito Nicolaj Bulganin, una volta sempre presente nei loro viaggi in tandem per il mondo, poi uscito di scena nel '58 con la defenestrazione dalla carica di presidente del consiglio; da quell'anno Kruscev, ormai lanciato nella gestione del culto rustico e grezzo della propria personalità, aveva cumulato la carica di capo del governo a quella di dittatore del partito. Spiccava fra i suoi accompagnatori il volto nuovo di Ekaterina Fu ri se va, unica donna nella storia sovietica cooptata quale membro effettivo del politburo: un volto di pun misto di peritosa maestra elementare e di dezhurnaja di piano d'un faraonico albergo moscovita. Tuttavia non brutta nella sua fredda severità burocratica. Anzi, quasi una Greta Garbo mssa a confronto con Nina Petrovna, la moglie ufficiale di Kruscev, che caracollava a fatica alle spalle del marito sulle sue tozze gambe corte da matriosca e il suo faccione lunare da contadina slava. Soltanto la mussante parlantina del capo riusciva a malapena ad offuscare il piglio padronale della Furtseva, alla quale Kruscev, di cui si sospettava fosse o fosse stata l'amante, avrebbe affidato in quei due giorni spesso e volentieri il ruolo di portavoce della delegazione sovietica nei contatti col pubblico e con la stampa. L'ambiziosissima donna, che come un'ombra indelebile aveva seguito le orme di Nikita Sergejevic nelle lotte e nell'ascesa al potere, sapeva essere morbida con i giornalisti stranieri quanto era stata implacabile con gli «antipartito» Molotov e Kaganovic nel momento risolutivo della loro cacciata dai vertici del Cremlino. Quanto all'aspetto e al volto di Kruscev, che vidi sporgersi fra quelli della moglie e della presunta concubina da un finestrino del treno, mi fecero pensare a un clown cui sembrava mancare soltanto il pomo di plastica scarlat- o», si riferiva alla sconfitppena patita dall'amminizione lcennediana con il stroso sbarco anticastrista Baia dei porci. Era ancora aria lo scandalo dell'U-2, il gnitore statunitense in mise spionistica abbattuto il 1' gio 1960 sul territorio sovietiscandalo quasi interamente bitato al vecchio presidente nhower e quindi attutito dal idente Kennedy con la rinunormale ai voli di perlustrazioopra l'Urea. Un altro smacco iante per l'America portava ata più recente del 13 aprile : ii primo uomo lanciato nello Ih! nini [u irle il r-tiìì l'irci )'■■ nrolnzionano C OììììUììiMii' connato. d(fira lira il [orlnnato fin un I itile di cliìiydlHi .. irlandesi qUn clown con dporcini, collerici, però, a tratti, plucore aggressivocome smarriti su uviso. Grande vitavoglia di cambiareni di violenza tente a freno, schizofrgica cronicizzata le complicità crimsembravano dispul'uomo che s'accincervello e i nervi ddy. Doveva covarnel contadino dipungente complgià provato al vnell'estate del 19incontrato da paristatisti occidentaPoint, a Eton, a Ona. Nell'estate viegli aveva ancorsi vestiti di alsformata di colbeige e il verdindi pantaloni larglanti. Il che non tuare quell'imprantiquata e clowosservatori commugico emerso dstalinismo e inszar riparatore, unno, sul ponte di le Russie. Difattno, eravamo comvoli che quell'uopersonalità, dallacettata, che un gdi voler seppelliril giorno dopo scheletri e le verbolscevico, era sle a più stadi emento stesso ingno contro l'Ova i gudeponundi braprstÌpmlsril Kennedy e Kruscev al summit di Vienna del 1961. Dal «match» nessun risultato concreto e più forte la contrapposizione fra i due presidenti, uno con il piglio del manager, l'altro con la furbizia del «rustico»
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Карикатуры из нидерландских журналов периода "холодной войны", на тему Кеннеди и Хрущева. Источник, ссылка
Иммунитет к диктатуре (1962 год)
Карибский кризис, (1962 год)

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Удивительные вещи можно узнать если только присмотреться к уже известным фактам, много будет выглядеть по иному в наше современное время. многое найдет свое обьяснение.